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Francesco Repice sul Napoli e la sua bellezza “scandalosa”

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&lt;p&gt;&lt;strong&gt;Francesco Repice&lt;/strong&gt; lo azzardò mesi fa, durante &lt;strong&gt;Napoli-Ajax&lt;/strong&gt;. &lt;em&gt;“Quel numero 77 ricorda un ragazzo di Belfast che non c’è più”&lt;/em&gt;. La sua intuizione partì da un apprezzamento in forma di paragone. Poco a poco, estesa a tutto l’intero. Questo Napoli, che sembra calamitare le giuste attenzioni in cautela. Perché si chiama Napoli. Si chiamasse in un’altra maniera, il giudizio sarebbe plebiscitario. Quando invece non si vince spesso, allora si è destinati ad attraversare la lunga galleria dell&#39;attribuzione della provvisorietà.&lt;/p&gt; &lt;p&gt;&lt;br&gt;&lt;/p&gt; &lt;p&gt;Repice, invece, nell’ultimo intervento finito sul web, ha riportato le sue considerazioni sulle cartografie di un tempo che sembrava essersi allontanato per sempre. Gli anni dell’avvento di &lt;strong&gt;Falcao e Platini &lt;/strong&gt;definiti da &lt;strong&gt;Carmelo Bene&lt;/strong&gt; come “scandalosi”. Il loro gioco meraviglioso, salvifico dentro il duplice significato dello scandalo. Trappola secondo gli antichi, fonte di meraviglia per la modernità. Una declinazione di una parola insidiosa che in bocca a chi conosce i contorni dell’estetica funziona come una sentenza. Se pronunciato da Carmelo Bene, si sprigiona l’ammirazione. Se recuperato da Francesco Repice, in funzione degli altrettanti recuperati tempi “antichi”, la parola assurge a consolidarsi agli onori delle cronache più sottili e raffinate.&lt;/p&gt; &lt;p&gt;&lt;br&gt;&lt;/p&gt; &lt;p&gt;&lt;em&gt;“La tattica non ha a che fare con la bellezza”&lt;/em&gt;. Dichiarazione tecnicamente ineccepibile – del resto, i Repice sanno di quello di cui parlano – che non dimentica di recuperare (e siamo a tre) che c’è una squadra che riesce a coniugare entrambe le cose. Forma e sostanza, in spregio agli sfoggi pretestuosi dell’estetica fine a se stessa e ai cinismi di quel pragmatismo d’occasione che spesso è la maniera avventurosa di cavarsela dalle cose.&lt;/p&gt; &lt;p&gt;&lt;br&gt;&lt;/p&gt; &lt;p&gt;&lt;em&gt;“Questo Napoli è scandaloso. È una squadra che desta sgomento e meraviglia”&lt;/em&gt;&lt;/p&gt; &lt;p&gt;&lt;br&gt;&lt;/p&gt; &lt;p&gt;Al di là delle speculazioni filosofiche sul tema, le considerazioni di Repice colpiscono per la loro spontaneità, in contrasto con quella parte della stampa in azione col luogo a procedere della diminuzione. Sminuire per avversare. Diversamente da chi ha ormai compreso la possibilità che la squadra di &lt;strong&gt;Spalletti&lt;/strong&gt; offre non soltanto a se stessa e ai suoi tifosi, ma un diverso intendimento del gioco del calcio, della sua gestione, della sua amministrazione.&amp;nbsp;&lt;/p&gt; &lt;p&gt;&lt;br&gt;&lt;/p&gt; &lt;p&gt;Per come sta andando la stagione dei partenopei – qualcosa, secondo molti, a giusta ragione, sembra ormai essere scontato – stavolta quel vecchio adagio, talvolta retorico e abusato, sul tema della bellezza potrebbe trovare piena realizzazione. In luogo di quella concretezza, a proposito di filosofia, che è l’effetto di quello con cui qualcosa agisce su qualcos’altro. E la bellezza di questo Napoli non passa soltanto per le sue giocate o per il suo modello tattico, ma per la vivacità spontanea e genuina che si legge negli occhi di chi sta in panchina mentre fa il tifo per i compagni in campo. Oppure nell’atteggiamento di chi entra a partita in corso pur sapendo di avere poco tempo a disposizione. Una differenza che sembra non avere bisogno di proclami pedagogici, ma che pare si sia allevata autonomamente, in felice alienazione da un sistema di ipocrisie retto da copioni e protocolli di elogio.&amp;nbsp;&lt;/p&gt; &lt;p&gt;&lt;br&gt;&lt;/p&gt; &lt;p&gt;L’ultimo intervento di Francesco Repice, col senso raffinato e distinto del dubbio, ha omaggiato prima di tutto il tipo di umanità di una squadra di calcio. Cosa rara. Piaccia o meno, pare sia così. Per quello che &lt;em&gt;“può farti capire che ci può essere qualcosa di diverso che va apprezzato. Lo capisco, è molto attuale questo discorso. Proprio con le cronache degli ultimi giorni che poco hanno a che fare col pallone, ma molto con la vita”&lt;/em&gt;.&lt;/p&gt;

Alcune considerazioni sull’ultimo intervento di Francesco Repice

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Francesco Repice lo azzardò mesi fa, durante Napoli-Ajax. “Quel numero 77 ricorda un ragazzo di Belfast che non c’è più”. La sua intuizione partì da un apprezzamento in forma di paragone. Poco a poco, estesa a tutto l’intero. Questo Napoli, che sembra calamitare le giuste attenzioni in cautela. Perché si chiama Napoli. Si chiamasse in un’altra maniera, il giudizio sarebbe plebiscitario. Quando invece non si vince spesso, allora si è destinati ad attraversare la lunga galleria dell'attribuzione della provvisorietà.
 
Repice, invece, nell’ultimo intervento finito sul web, ha riportato le sue considerazioni sulle cartografie di un tempo che sembrava essersi allontanato per sempre. Gli anni dell’avvento di Falcao e Platini definiti da Carmelo Bene come “scandalosi”. Il loro gioco meraviglioso, salvifico dentro il duplice significato dello scandalo. Trappola secondo gli antichi, fonte di meraviglia per la modernità. Una declinazione di una parola insidiosa che in bocca a chi conosce i contorni dell’estetica funziona come una sentenza. Se pronunciato da Carmelo Bene, si sprigiona l’ammirazione. Se recuperato da Francesco Repice, in funzione degli altrettanti recuperati tempi “antichi”, la parola assurge a consolidarsi agli onori delle cronache più sottili e raffinate.
 
“La tattica non ha a che fare con la bellezza”. Dichiarazione tecnicamente ineccepibile – del resto, i Repice sanno di quello di cui parlano – che non dimentica di recuperare (e siamo a tre) che c’è una squadra che riesce a coniugare entrambe le cose. Forma e sostanza, in spregio agli sfoggi pretestuosi dell’estetica fine a se stessa e ai cinismi di quel pragmatismo d’occasione che spesso è la maniera avventurosa di cavarsela dalle cose.
 
“Questo Napoli è scandaloso. È una squadra che desta sgomento e meraviglia”
 
Al di là delle speculazioni filosofiche sul tema, le considerazioni di Repice colpiscono per la loro spontaneità, in contrasto con quella parte della stampa in azione col luogo a procedere della diminuzione. Sminuire per avversare. Diversamente da chi ha ormai compreso la possibilità che la squadra di Spalletti offre non soltanto a se stessa e ai suoi tifosi, ma un diverso intendimento del gioco del calcio, della sua gestione, della sua amministrazione.&nbsp;
 
Per come sta andando la stagione dei partenopei – qualcosa, secondo molti, a giusta ragione, sembra ormai essere scontato – stavolta quel vecchio adagio, talvolta retorico e abusato, sul tema della bellezza potrebbe trovare piena realizzazione. In luogo di quella concretezza, a proposito di filosofia, che è l’effetto di quello con cui qualcosa agisce su qualcos’altro. E la bellezza di questo Napoli non passa soltanto per le sue giocate o per il suo modello tattico, ma per la vivacità spontanea e genuina che si legge negli occhi di chi sta in panchina mentre fa il tifo per i compagni in campo. Oppure nell’atteggiamento di chi entra a partita in corso pur sapendo di avere poco tempo a disposizione. Una differenza che sembra non avere bisogno di proclami pedagogici, ma che pare si sia allevata autonomamente, in felice alienazione da un sistema di ipocrisie retto da copioni e protocolli di elogio.&nbsp;
 
L’ultimo intervento di Francesco Repice, col senso raffinato e distinto del dubbio, ha omaggiato prima di tutto il tipo di umanità di una squadra di calcio. Cosa rara. Piaccia o meno, pare sia così. Per quello che “può farti capire che ci può essere qualcosa di diverso che va apprezzato. Lo capisco, è molto attuale questo discorso. Proprio con le cronache degli ultimi giorni che poco hanno a che fare col pallone, ma molto con la vita”.

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Alcune considerazioni sull’ultimo intervento di Francesco Repice

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